Di Fabio Campoli
Chi era Teofilo Barla? Forse qualcuno, o forse nessuno. Secondo alcuni un folle e visionario cantastorie, secondo altri un cuoco geniale che ebbe il coraggio (e l’ardire) di pubblicare nel 1854 un ricettario sovversivo, perché contenente tra le righe il racconto di diversi aneddoti di vita sia personali che strettamente privati dei reali Savoia
E non di meno, nel suo libro si parla anche di veri e propri furti di ricette che sarebbero avvenuti a sue spese ad opera di gaudenti industriali del tempo. La storia di Teofilo Barla è a dir poco rocambolesca, anche perché ricostruita come un puzzle sul ritrovamento di tre documenti storici in particolare: c’è l’unica copia superstite del suo libro – “Il confetturiere, l’alchimista, il cuciniere piemontese di Real Casa Savoia” – ritrovata da Bruno Armanno Armanni nel 2004 al I Salone del libro usato di Milano e da lui stesso trascritta per essere rieditata nel 2011 da Arnaldo Forni Editore – e ci sono poi delle lettere a lui riconducibili ritrovate da Niccola Gabiani e Pierfederico Gariglio, legate alla corrispondenza con sua madre e alla stesura di un personale diario di cui sono state rinvenute solo parti relative ai suoi ultimi giorni di vita. Teofilo Barla nacque nel quartiere di San Rocco ad Asti nel 1796, rimanendo orfano del padre alla tenera età di 2 anni. La madre Margherita lo crebbe con amore (tanto che il figlio scambiò con lei numerose lettere nell’arco della vita) fino all’età di 14 anni, quando si distaccò dall’ambiente familiare grazie ad un ufficiale che prestava servizio nel Corpo Reale degli Ingegneri di Casa Savoia. Questi fece del suo meglio affinché trovasse impiego presso la Corte Reale, e questo accadde ben presto in quello stesso anno (1810), portando Teofilo a lavorare come guattero presso le cucine reali.
Barla lavorò con grande impegno e passione nelle cucine reali per ben 37 anni, servendo diversi regnanti di Casa Savoia e ricevendo nel 1848 – in seguito all’ideazione di un “elisir” al cocco che Carlo Alberto gustò con enorme piacere – l’incarico di Maître Pâtissier et Confiseur Royal. Al contempo, il “supervisore” della preparazione di quella sua ricetta assunse in detta occasione il titolo di Capo Cuoco e Pasticcere delle cucine reali: si trattava del più noto Giovanni Vialardi, suo amico di vecchia data, di 8 anni più giovane di lui, al quale aveva insegnato molto durante i reciproci anni di “gavetta”. Ma tra i due non pare vi fosse rivalità, a tal punto che il Vialardi fece tutto il possibile per evitare che, nel febbraio 1851, Teofilo venisse licenziato, a causa di un incidente occorso durante un importante banchetto nel Castello di Garessio. Al termine di una battuta di caccia condotta in prima persona da Vittorio Emanuele II con una schiera di cavalieri ospiti, Barla li fece accomodare a tavola insistendo per fargli degustare la sua polenta concia alla moda della Valle di Aosta. Ma questa fu servita in tavola in modo così maldestro da cadere finendo persino sulle gambe di alcuni commensali. Accadde dunque per questo motivo che, seppur difeso dal Vialardi, Barla venne declassato nuovamente a guattero
nelle cucine reali. Fu nella speranza di rientrare nelle grazie del Re che iniziò a dedicarsi alla sua opera prosciugando nel 1854 i suoi risparmi per darne alla stampa un migliaio di copie: una parte furono consegnate in dono al re in carica Vittorio Emanuele II, ma la sua reazione fu tutt’altro che positiva, con la scelta di mandarle al rogo imponendo inoltre a Barla di non divulgare il libro in qualsivoglia altro modo. Il problema stava proprio in diversi dettagli e segreti (anche delle corte) svelati tra le righe delle sue ricette. Nel medesimo anno 1854 però, Giovanni Vialardi, in tutta probabilità all’insaputa di Barla, pubblicò un libro dai contenuti similari, ma più vasti e innovativi (“Trattato di Cucina”, “Pasticceria moderna”, “Credenza e relativa Confettureria”). La sua opera conteneva infatti ben 2.000 ricette relative alle tradizioni di tutte le terre del Regno di Sardegna (mentre quella di Barla ne annoverava “solo” 100) e si faceva forte anche di altre novità del tempo, a partire dall’indicazione – per la prima volta in un libro di cucina italiana – di pesi e misure espressi secondo il sistema metrico decimale (adottato dai Savoia nel 1845), assieme all’inserimento di disegni fatti di suo pugno. Il 29 agosto del 1872, l’epilogo della storia in gran parte parallela dei due cuochi di Casa Savoia si presenta nella forma di un destino che avrebbe dell’incredibile: entrambi decedono infatti nel medesimo giorno del medesimo anno. Barla termina la sua vita in estrema povertà mentre viene colto in flagranza di reato per pesca di frodo nel fiume Sangone, Vialardi invece muore nella sua camera da letto, circondato da ricchezza, affetti e certo della risonanza del successo della sua opera nei secoli a venire. Le vicissitudini del “fantasma” di Teofilo Barla, la cui esistenza si basa ancora oggi solo su poche innegabili certezze, meritano di essere conosciute e riesplorate in cerca della verità: la sua fu un’opera culinaria speciale, perché in essa venivano riportate anche altre storie da ripercorrere nonché ingiustizie da rivelare, mettendo nero su bianco i nominativi di soggetti malvagi che ruotavano intorno alla sua vita a corte. Il tutto espresso con il cuore di colui che, ancor prima che come cuoco, sarà ricordato dalle sue stesse pagine come personaggio puro, umile, onesto, ma soprattutto bramoso di far emergere sempre la verità.
LA RICETTA DEL MESE Biancomangiare alle mandorle e mirtilli
Ingredienti per 5-6 persone:
- Mandorle pelate, 250g;
- Latte di mandorle (o acqua), 400ml;
- Baccello di vaniglia, mezzo;
- Panna fresca, 300ml;
- Zucchero, 100g;
- Gelatina in fogli, 12 g
Per la salsa ai mirtilli:
- Mirtilli freschi, 20g;
- Zucchero,100g;
- Acqua, 50ml
Preparazione: Inserite le mandorle insieme al latte o l’acqua in un robot da cucina, frullando finemente il tutto. Versate il composto ottenuto in un recipiente, e unitevi lo zucchero e i semi che avrete scavato dall’interno del baccello di vaniglia. A parte, reidratate i fogli di colla di pesce lasciandoli immersi in un recipiente con acqua fredda; quando si sarà ben ammorbidita, strizzatela bene e scioglietela in un pentolino sul fuoco, unendo solo qualche cucchiaio d’acqua. In seguito, aggiungete la gelatina a filo nel composto alle mandorle, mescolando di continuo con una frusta per evitare la formazione di grumi. Il composto sarà pronto quando alzando il mestolo se ne denoterà una consistenza oleosa. Infine, montate la panna in un recipiente ben refrigerato, poi incorporatela delicatamente al tutto. Riempite degli stampi monoporzione con il composto, e riponetelo in frigorifero per almeno 6 ore. A parte, ottenete la salsa ai mirtilli unendo acqua e zucchero in una casseruola, e lasciandoli cuocere senza mescolare fin quando non si sarà formato uno sciroppo più denso, che inizierà a bollire. Spostate lo sciroppo bollente dal fuoco, unitevi i mirtilli e frullate a immersione, lasciando poi freddare la salsa (è importante evitare di farla ribollire, perché il suo colore diverrebbe troppo scuro). Al momento di servire, capovolgete i singoli biancomangiare di mandorle sui piatti da portata e serviteli accompagnandoli con la salsa ai mirtilli