Chiesa di Santa Maria dell’Orto: l’itinerario gastronomico inatteso

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Di Fabio Campoli

Se vi capitasse di trovarvi all’incrocio tra via Anicia e via Madonna dell’Orto, nel meraviglioso contesto del rione Trastevere di Roma, c’è un luogo la cui visita si presenta davvero consigliata per tutti gli amanti della storia, dell’arte… e della gastronomia

Sono più di 900 le chiese cristiane cattoliche presenti nella capitale, dettaglio che fa di Roma la città con il maggior numero di chiese al mondo, immensa testimonianza storica, culturale e artistica. Tra di esse, per l’appunto, c’è la Chiesa di Santa Maria Dell’Orto, che meriterebbe di esser maggiormente citata ed evidenziata in guide e percorsi turistici alla scoperta delle più inattese bellezze dell’Urbe.

La Chiesa di Santa Maria Dell’Orto si pone al centro della zona che dal 508 a.C. fu chiamata dei campi di Muzio, corrispondente ai terreni che il re Porsenna aveva donato a Muzio Scevola in segno di gratitudine per il suo atto eroico. Questa chiesa è singolare in quanto non nata per volontà di papi o reali, e neppure importanti famiglie nobili sono titolari delle sue cappelle. È la chiesa del popolo lavoratore così come racconta la sua storia, legata a un miracoloso evento che risale alla fine del Quattrocento. A quei tempi, nella parte di Trastevere verso il porto di Ripa Grande dove sorge la chiesa c’erano campi e soprattutto orti coltivati; sul muro di uno di questi orti c’era l’immagine dipinta di una Madonna con Bambino alla quale un contadino devoto affetto da grave infermità fece voto di tenere sempre una lampada accesa in preghiera di guarigione. Il miracolo avvenne, ed assieme al contadino guarito altri abitanti devoti decisero di edificare una piccola cappella e quindi di riunirsi in una Confraternita, ufficialmente riconosciuta dal papa Alessandro VI nell’anno 1492 per poi diventare Venerabile Arciconfraternita di Santa Maria dell’Orto nel 1588 sotto papa Sisto V (la chiesa, dopo molte vicissitudini, fu terminata solo attorno al 1570). Nei secoli successivi, all’Arciconfraternita si associarono ben 13 Università delle Arti e dei Mestieri, corporazioni di lavoratori che si impegnarono ad arricchire di ornamenti la Chiesa di Santa Maria dell’Orto avvalendosi a proprie spese dell’opera di grandi artisti. Il porto di Ripa Grande a Trastevere era l’antico porto fluviale della città di Roma e qui sbarcavano tutte le merci della città. Vi giungevano soprattutto generi alimentari che andavano a rifornire le botteghe cittadine e ciascuna delle Università portava il nome della categoria di mestiere svolto dai componenti. Le Università dei Mercanti e Sensali di Ripa e Ripetta, Università dei Molinari, Università dei Pizzicaroli (rivenditori di salumi e altri generi alimentari), Università degli Ortolani, Università dei Fruttaroli e Limonari, Università dei Vermicellari (fabbricanti e rivenditori di pasta) erano le sei categorie esprimevano il governo dell’Arciconfraternita eleggendo altrettanti Guardiani. Quello proveniente dai Pizzicaroli era di diritto anche Camerlengo (presidente). Altre Università di rilievo, ma non con diritti di governo, erano l’Università dei Pollaroli (venditori di pollame), Università dei Padroni, Affittuari e Mezzaroli di Vigne,

Università degli Scarpinelli (ciabattini), Università dei Mosciarellari (venditori di castagne secche), Università dei Barilari. Ma nel periodo di maggior splendore, le Università giunsero ad essere oltre 20. Alle Università dei titolari delle attività commerciali si univano anche le Università dei relativi Garzoni, e la chiesa mostra ovunque iscrizioni che riportano l’indicazione della corporazione che finanziò un ornamento o un’opera artistica. Tra le più vistose c’è n’è una presente sul pavimento nella quale il nome dell’Università dei Fruttaroli è arricchito da una corona di foglie e frutti colorati, mentre puntando lo sguardo verso l’alto domina l’oro delle ghirlande di fiori e frutta, insieme alle targhe sparse ovunque, ciascuna a firma dell’Università che volle la realizzazione di specifici pezzi. Ovunque polli, scarpe, pesci, spighe e tanti altri simboli dei mestieri legati soprattutto alla terra e alla produzione di alimenti, sia vegetali che animali. Una donazione particolare è quella di un tacchino di legno (alto cm. 80 per m. 1,50 di apertura alare, scolpito in un unico blocco) donato dall’Università dei Pollaioli nel Seicento alla chiesa, da sempre (e ancora oggi) ospitato nella sacrestia. L’architetto che realizzò la Chiesa di Santa Maria dell’Orto fu Guidetto Guidetti, allievo di Michelangelo, mentre la facciata venne progettata dal Vignola e completata da Francesco da Volterra. Santa Maria dell’Orto viene celebrata anche con una festa annuale: durante la cerimonia vengono distribuite mele benedette ai fedeli per ricordare l’Università dei Fruttaroli che contribuì in modo significativo ad arricchire artisticamente la chiesa: a tavola il capofamiglia dividerà la mela in tanti spicchi quanti sono i componenti della famiglia a simboleggiare l’unità nella diversità. Per la sua fastosità la chiesa di Santa Maria dell’Orto è stata inoltre set di importanti film: qui furono riprese varie scene del celebre “Roma città aperta” di Roberto Rossellini, nonché episodi dei film “Lo scapolo” di Antonio Pietrangeli, ”I 4 tassisti” di Giorgio Bianchi, “Il papà di Giovanna” di Pupi Avati.

Si ringrazia Domenico Rotella, Camerlengo dell’Arciconfraternita di S. Maria dell’Orto

LA RICETTA DEL MESE: Macedonia d’autunno

Ingredienti per 2-3 persone:

  • Avocado maturo, 1;
  • Kaki mela, 2;
  • Gherigli di noce, 60g;
  • Uva sultanina, 40g;
  • Miele di castagno, 2 cucchiaini

Preparazione: Mettete l’uva sultanina a reidratare in una ciotolina, coprendola con acqua leggermente tiepida. A parte, rimuovete la buccia e il picciolo dei kaki mela e tagliateli a cubetti; poi fate a spicchi l’avocado maturo, rimuovete la buccia e tagliate anche la sua polpa a cubetti. Dividete la macedonia ottenuta in quattro ciotoline da servizio, e cospargetele in superficie con i gherigli di noce spezzettati grossolanamente e l’uva sultatina reidratata ben strizzata. Infine, condite il tutto in superficie con poco miele di castagno, lasciandolo cadere a filo sulla superficie di ciascuna macedonia. Gustatela ben fresca.

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